Tradizioni antiche dei Colli Euganei
La cultura e le tradizioni popolari, espressioni del mondo contadino, sono oggi totalmente scomparse per i mutamenti indotti dalla industrializzazione e dalla urbanizzazione. Nuove culture e nuove tecniche di coltivazione hanno alterato profondamente il paesaggio da cui sono spariti i fossi, le siepi, la baulatura*, le capezzagne*, le piantate*.
*La baulatura, in agricoltura, è un profilo convesso che si realizza sulla superficie del terreno, con pendenze dell’ordine del 1/2 per mille dei campi.
* La capezzagna o cavedagna è una strada sterrata di servizio agli appezzamenti coltivati. È una superficie improduttiva ma funzionale alla gestione delle colture.
* Le piantate insieme delle piante coltivate secondo un ordine: una piantata di viti. Definizione e significato del termine piantata.
Gli insediamenti sparsi sono stati abbandonati a favore di centri sempre più vasti e congestionati dove l’individuo perde il legame con le proprie radici e trova difficile orientare consapevolmente la propria esistenza. Un antico modo di vivere e di lavorare, di pensare e di parlare, di rapportarsi alla natura ed alla società è andato purtroppo perduto tra l’indifferenza di chi ignora che il nostro passato non è solo quello scritto nei libri di storia, ma comprende le tradizioni popolari, trasmesse oralmente da una generazione all’altra per secoli. E’ quindi urgente ed indispensabile una ricerca su tutto il territorio per riscoprire e rivalutare quanto ancora rimane di un mondo da cui proveniamo e che custodisce la nostra originaria identità.
La cultura popolare Tra le creazioni più originali della cultura popolare ci sono proverbi, indovinelli, cantilene, filastrocche, ninna nanne, scioglilingua, le conte, i giochi, i canti. I proverbi erano un modo per trasmettere i valori le conoscenze e le esperienze delle generazioni passate. Le conte erano usate all’inizio del gioco per il sorteggio dei partecipanti, erano talvolta residui di formule magiche, di antichi scongiuri oppure ricordi di fatti che si erano radicati nella memoria collettiva. I cantastorie erano dei girovaghi che suonavano un rozzo strumento e recitava filastrocche chiedendo la carità. I contadini avevano un grandissimo repertorio di canti e di composizioni con contenuto amoroso e satirico. Alcuni canti serbavano memoria di eventi storici del lontano passato.
La medicina popolare la dieta degli agricoltori, fatta quasi esclusivamente di mais, li esponeva alla pellagra per carenza di vitamine, inoltre le abitazioni malsane favorivano l’insorgere di febbri, mentre epidemie di vaiolo, tifo e colera si abbattevano periodicamente e tragicamente sulla popolazione. Solo in casi rari si ricorreva al medico, in genere ci si curava secondo l’esperienza dei vecchi, usando soprattutto le erbe in varie forme: tisane, decotti, cataplasmi, unguenti, spesso associate alla recita di formule e a pratiche magiche. Le erbe dovevano essere raccolte nella stagione propizia ed erano ritenute particolarmente efficaci quelle raccolte a San Giovanni il 24 giugno, specie se ancora bagnante di rugiada.
La cucina rurale Alla fine dell’800 il consumo medio giornaliero del contadino era a base di farina di granoturco, di verdura, di legumi. Nonostante la miseria, le donne combinavano i poveri ingredienti in saporite ricette come minestre, pasta bigoli, gnocchi, trippe, fegatelli, uccellini, funghi e soprattutto la polenta, l’alimento principale del contadino. Inoltre per combattere la fame c’erano impasti con pane raffermo e latte, oppure con brodo di cotechino e farina di granoturco uniti a zucchero, pinoli, uvetta, fichi, mele. A Santa Lucia il 13 dicembre, arrivava il mazin con i coltelli e la macchina per triturare e insaccare la carne di maiale di cui niente andava perduto (sangue, grasso, ossa e setole). Nello stesso giorno si mettevano in onto le oche per conservarle.
Fantasia popolare la tradizione popolare era ricca di personaggi fantastici dai poteri magici tra cui il Massariol un folletto piccino tutto vestito di rosso imprevedibile e dispettoso che agiva soprattutto di notte, toglieva la parola e il senno, faceva smarrire le persone nei boschi ed era capace di trasformarsi in mille forme. Non tutte le sue azioni erano cattive, insegnava anche agli uomini a curare il bestiame, le tecniche per lavorare il latte ed ottenere burro e formaggio. Di notte, nei boschi e nei prati di montagna, era possibile sentire l’abbaiare furioso della Catha selvarega, la caccia infernale che lasciava macabri resti umani a chi aveva il coraggio di sfidarla, mentre vicino ai corsi d’acqua si udiva talora lo sciacquio dei panni che le Vane, Fade, Strighe, Guane, lavavano di notte. Le streghe erano in genere donne vecchie, brutte, povere, vestite di nero che avevano fatto un patto col demonio e compivano malefizi per malvagità, invidia o vendetta. Sappiamo che fin dai tempi più lontani, la gente amava radunarsi ad ascoltare storie di vecchie donne, ma nessuno si prese la briga di trascriverle. La fiaba popolare si trasmetteva oralmente e per catturare e tener desta l’attenzione del pubblico, il narratore usava anche il gesto, l’espressione del viso, il tono della voce e il ritmo del discorso, tutti elementi non riproducibili nella redazione scritta. I testi destinati alla trasmissione orale perdono molto della loro efficacia quando vengono riportati integralmente e devono perciò essere tradotte in forma letteraria per entrare nella tradizione scritta.
Il dialetto La cultura contadina usava solo il dialetto e ignorava l’italiano, lingua dei “siori”. Il veneto, ricco soprattutto sul piano lessicale, ruvido e terragno nelle campagne, musicale ed elegante in città, fu per secoli anche la lingua di stato per la Serenissima, prima che nel ‘500 prevalesse l’intento di usare il toscano. Il dialetto fu anche strumento d’arte per poeti e commediografi, come ad esempio da Leonardo Giustinian al Ruzante, a Goldoni. Nonostante ciò il dialetto rimane una lingua parlata espressione della cultura delle classi subalterne.
Il ciclo della vita La società contadina si basava sulla famiglia patriarcale dove i giovani e le donne avevano un ruolo subordinato. Le donne dovevano tenere un atteggiamento rispettoso e osservare le regole come mangiare in piedi dopo aver servito gli uomini seduti a tavola. La cultura popolare era fortemente misogina e considerava le donne egoiste, pettegole, scervellate, anche se il loro apporto all’economia familiare era fondamentale, infatti era loro il compito di accudire ai figli, alla casa, all’orto, agli animali da cortile e all’occorrenza anche del lavoro nei campi. D’altra parte non vi era alternativa se non adeguarsi ai ruoli assegnati dalla tradizione e vivere una vita uguale ai loro padri, ritmata dalle tappe principali di nascita, matrimonio, morte che venivano celebrate con riti particolari.